mercoledì 25 maggio 2011

Sapendo e non sapendo...

Qualche giorno fa ho scoperto una poesia di Mario Luzi. E' molto lunga, così ne riporto solo alcuni stralci:
...
se ne va
il giorno umano
e non umano,
le sfugge dall'incavo
dei suoi piccoli monti,
si eclissa tra le pieghe dei suoi aridi dossi,
se ne va il giorno
e l’uomo
e la vita ch’è in loro,
se ne va
avendo e non avendo
saputo qual è stata la sua parte...
ma è stata - lei lo sa - E’ stata
e questo la fa piangere
talora di grazia e di letizia.
  (M. Luzi, "Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini")

Ieri sera mi sono addormentata con amarezza, per una questione personale. E, come spesso, l'ultimo pensiero della giornata è stato: "E domani come entrerò in classe?".
Qualsiasi insegnante sa che la sua professione è particolare perché non si tratta solo del latino, delle guerre puniche, dei verbi predicativi, ...
Insegnare è essere con tutto se stessi davanti a studenti che chiedono innanzitutto "perché" val la pena studiare quel che fanno. E questo si legge sul volto prima ancora che dirlo a parole.
Ma lasciarsi andare allo scetticismo non paga: non appaga né me né loro. Ogni giorno lasciato allo scetticismo è un giorno perso per tutti.
Invece, ripartire aspettandosi dalla giornata che qualcosa faccia rialzare la testa, conviene sempre. Conviene anche perché non è vero che le giornate, appunto, portino ricorrentemente amarezze: conviene perché succede proprio che portino una novità. Il filo è intermittente; si spezza e bisogna riprenderlo in mano: "Se ne va il giorno / e l'uomo / e la vita ch'è in loro. / Se ne va / avendo e non avendo saputo / qual è stata la sua parte. Ma è stata - lei lo sa....".
Io penso che si bari se si dice che questo senso non c'è. C'è e non c'é insieme: ma allora non è vero che non c'è. Anche se ogni volta, ogni amarezza, sembra riallontanare i capi...
Ma il senso che non c'è (o che non vedo) non annulla il senso che ho visto. Stanno stretti l'uno all'altro. E io penso che anche questo i miei alunni leggano sulle facce di chi li interpella: se un adulto riscommette, oppure no.

sabato 14 maggio 2011

Il bello di un palcoscenico

Ho avuto la fortuna, in questi giorni di maggio, di fare una vera e propria esperienza di teatro. 
[Eh sì che a un certo punto mi sono anche detta: ma val la pena, proprio in questo mese, quando io e i miei studenti siamo così strapponati da verifiche, interrogazioni...? Beh, proprio sì: è valsa la pena!] 
Insegnando letteratura, ho sempre pensato che il teatro potesse dare un'esperienza a tutto tondo del leggere: quali sfumature possono essere colte dall'interpretazione di un testo... e altre cose così. 
Questo, prima di incontrare la mamma di una mia studentessa, che ha proposto (per una classe che non era però quella di sua figlia) di affiancarmi nel lavoro sull'Antigone (vedi i miei post del 18 e 28 marzo). 

Ed ecco che - bellissimo! mondi si sono aperti.

mercoledì 4 maggio 2011

Sguardi, famiglie, perplessità

Quest'anno scolastico mi ha dato in sorte tre classi prime: 80 ragazzi da accompagnare, nello studio e nella vita; da guardare sempre, perché in classe tutto funziona solo se li guardo uno per uno, se di ognuno ricerco lo sguardo ogni volta che mi introduco in classe (e così finalmente l'appello può perdere l'aspetto militaresco - o collegiale - che spesso investe l'usanza...).
Ed ora è la fine dell'anno, e fra le verifiche (e i recuperi) che si inseguono, in realtà emerge ancora più prepotente il grido di ciascuno di loro; e - chiaro - specie di chi ha più ferite scoperte. 
Forse perché quest'anno ho solo studenti così giovani, mi ritrovo con insistenza a pensare alle loro famiglie: perché a 14 anni, davanti al rush finale, non si riesce neppure lontanamente a nascondere le proprie reazioni; oppure, viceversa, perché la percentuale di chi bigia aumenta vorticosamente, e i miei studenti non hanno nemmeno la furbizia, o il desiderio di nasconderlo (spesso fra l'altro perché le stesse mamme, quando chiedo chiarimenti,  rispondono gentilmente "Sì sì, sapevamo, eravamo d'accordo..."). 
Alcuni studenti sono costernati perché hanno giocato a tira-e-molla tutto l'anno, e ora è davvero troppo tardi per avere la sufficienza in tutte le materie; altri poi hanno gettato la spugna perché sanno che ormai l'anno è perso. E alcuni si disperano perché pensano di essere già spacciati, mentre per i loro insegnanti non è così evidente (ma quegli studenti non possono mollare ora, altrimenti sì che si giocheranno da sé l'anno!). 
Gli altri - per fortuna, ancora la maggior parte - raccolgono le forze e presenziano ad ogni verifica, prendono appunti imperterriti, arrischiano domande e battute.

Ed io penso ai loro genitori. A quanto sia importante che la famiglia possa sostenerli, e non sostituirsi a loro ("Ma professoressa, perché mio figlio non riesce a ottenere la sufficienza? E' tutto l'anno che schematizzo per lui il suo libro di testo [!!!], dovrebbe funzionare..."). Penso a quanti si stanno accorgendo solo ora che il figlio ha bigiato ininterrottamente negli ultimi due mesi, e vengono a scoprirlo per sbaglio; a chi ha davanti un figlio sollecitato a frequentare una scuola che ormai è palesemente inadatta; a chi è di fronte ai piccoli - o grandi - drammi della scuola, che si assommano sempre più spesso a quello del marito che è scappato di casa, alla malattia da fronteggiare, al lavoro che non c'è... Perché i miei alunni, soprattutto ora che mi sembra di dover solo correggere verifiche, gridano ancora di più che la vita non può essere solo voti. E io, che i voti comunque li do, e so che è inutile barare su questi, vorrei anche contestualizzarli e ricondurli a quello che sono realmente: un aspetto, serio, del reale; ma uno solo. 
Penso a tutte queste famiglie, e sono grata a quella mamma che stamattina mi ha chiamato per dirmi: "Mia figlia vorrebbe mollare, ma io mi rifiuto di ascoltare solo lei: perché a scuola c'é lei, ma come io sono sua madre, voi siete i suoi professori. Devo ascoltare anche voi".
Ecco la famiglia che spero sempre di trovare in questo scorcio dell'anno: perché in aula i protagonisti sono tre (scuola, alunni, famiglia). E una famiglia che semplicemente c'è, nonostante tutto, fa esattamente tutto quanto è necessario a me e ai miei studenti.